I primi e gli ultimi


Da qualche giorno non mi é concesso nemmeno il tempo di pranzare. Sembra che tutti stiano cercando di concludere prima di andare a godersi le ferie estive. Il problema é che tutti vogliono concludere e cercano me sola come riferimento. Ho contato le cose fatte durante il giorno. Sono arrivata ad una cifra impressionante.
C'è un modo di pensare al profitto da parte dei datori di lavoro che é poco coerente con il modo di trattare i lavoratori.
Non é che si ragioni in termini di qualità produttiva, ma solo in termini di quantità.
Esempio: Lavoro sei, otto ore al giorno e produco al 100%, oppure lavoro quindici ore al giorno e produco il 40%. L'imprenditore delle mie parti - escludo gli altri perché non conosco la loro realtà, ma non sono mica ottimista - sceglierà la seconda soluzione.
C'é un piacere sadico nel volerti sempre al tuo posto, come se un solo secondo passato altrove giustificasse la sua teoria che costi troppo all'azienda perché vieni pagato troppo.
Io posso essere capace di concludere la quantità di lavoro di un'intera giornata solo in mezza giornata. Posso altresì, essere capace di lavorare venti ore al giorno e non concludere una benemerita. Tutto sta nella soddisfazione che provi nel fare le cose, anche quelle che ti piacciono meno.
E' frustante vedere che l'impegno profuso nelle cose che fai viene preso solo come dovere proprio da chi fa il minimo indispensabile.
Avere una certa autonomia di movimento non sarebbe male, invece mi ritrovo al centro di un cerchio composto da gente che comanda e che ti spedisce il mille direzioni differenti da prendere nello stesso momento.
Non possedendo il dono dell'ubiquità, e nel mio caso della cinquiubiquità (ho coniato un nuovo termine!!!) mi é impossibile soddisfare tutti quanti. Se faccio contento uno, scontento gli altri così fino a comporre un circolo vizioso che non termina più.
Giuro, ho provato a parlare singolarmente, coralemente con tutti quanti, la risposta é sempre quella: Hai ragione, provvederemo, per poi ritornare al punto di partenza.
E dire che sono brava, molto brava, in quello che faccio!
Non so, però, se sceglierei di restare se mi si offrisse un'altra possibilità da qualche altra parte.
Credo di no.
Il mio sogno sarebbe quello di andare via da questa città.
Non andrei in nessun altro posto in italia, però. Io non mi sento italiana, tanto per parafrasare Gaber. Aggiungerei che purtroppo lo sono.
Vivrei bene in Svizzera, metodica, pignola, discreta come sono.
La mia città é la città delle cento chiese: tutte in ristrutturazione o sconsacrate.
La mia città é la città del cioccolato: in tutte le salse e metamorfosi possibile.
La mia città é la città del sole e del mare: quaranta gradi all'ombra e il mare infestato da meduse e bagnanti del nord e giuro che c'é da preferire le meduse.
La mia città é la città dell'accoglienza: non ai clandestini, anche a quelli, soprattutto nelle serre ortofrutticole, nei campi da lavorare o nell'edilizia senza ingaggio. Se cadi, muori, ti buttiamo in giro e piangeremo al tuo funerale pensando: un altra strage di clandestini.
La mia città é piena di gente che crede di essere civile, beve i caffé alzando il dito mignolo dalla tazzina, guida auto lussuose, possiede almeno tre case. Veste firmato e giura di vestire solo firme italiane per poi andare in giro con sacchi pieni di vestiti comprati alle bancarelle o dai negozi cinesi.
La gente della mia città non rispetta le file negli uffici postali, grida nelle hall degli alberghi e degli ospedali. Lascia in giro i pargoli al ristorante liberi di disturbare tutti.
La gente della mia città parcheggia in tripla fila, chiude l'auto a chiave e va a fare spese. Parcheggia nelle aree riservate alla gente con handicap, davanti ai garage con sosta vietata.
Non rispetta gli stop e le precedenza. Usa il clackson come un trombetta da stadio, conversa in auto con gli amici fermi al bar ignorando la fila dietro e le strombazzate di protesta.
Finge di amare le manifestazioni culturali, si abbiglia per andare a teatro, ma non capisce niente e lo si vede dall'aria smarrita che assume lo sguardo.
La gente della mia città é gente di facciata, che adotta comportamenti diversi a seconda di chi gli sta davanti.
E' gente fasulla, che si lamenta di non trovare parcheggio tanto per fare notare che ha appena comprato l'auto nuova lunga sei metri. Che odia l'aria condizionata in bagno e stanze da letto per fare capire di averne installata una per stanza. Che dice di essersi abbronzata mentre stendeva i panni quando il giorno prima é stata vista uscire dal centro estetico più alla moda.
Gente che organizza feste in piscina per gli amici più intimi, quando invece di amici non ce ne sono tanti, ma solo gente in vista.
Perché la gente della mia città, si fregia di frequentare le persone bene del luogo. Rappresentano un valore aggiunto.
Nei siti turistici capita di vedere scritto: qui ha dormito, é nato, tizio. Alla gente della mia città piace poter dire: "a casa mia ha dormito tizio, ha mangiato caio, ha fatto il bagno in piscina e ci avrà magari p.... sempronio".
La piazza della mia città é gremita di ragazzi bene, che frequantano amici per bene, che sciorinano i loro titoli di studio quando in realtà in tasca non hanno due lire, ma aspettano che arrivi la supplenza o il politico di turno a piazzarli presso qualche pubblico uffico.
Ci sono due santi che si onorano nella mia città o meglio: c'erano due santi che si onoravano nella mia città, adesso sono tre:
Il primo santo ha ucciso un drago;
Il secondo santo possiede le chiavi del paradiso;
Il terzo santo é funzionario di partito e possiede il potere di farti vivere in paradiso.
Tutti e tre i santi sono venerati e rispettati. L'ordine con il quale li ho riportati non va letto come ordine di importanza. In questo caso vige la regola dell'ultimo sarà il primo.

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