Condannati a sperare per sempre
Mi hanno accusato di essere una nostalgica, di perdermi in un malessere inconsistente e di non prestare attenzione alla realtà.
Sarà!
Lo ammetto. Sono nostalgica, ma non a causa di un passato che non ritorna più. Vivo tumulti interiori da bambina, quando sognavo una famiglia da Mulino Bianco che invece finiva per assomigliare ogni giorno di più a una sceneggiata napoletana.
C’è un bel testo di Baudelaire tratto da Lo spleen di Parigi e parla di Chimere e rappresenta benissimo la predisposizione dell'uomo a sognare e il suo amore verso questi sogni che cresce in modo proporzionale all'impossibilità di poterli realizzare.
Sarà!
Lo ammetto. Sono nostalgica, ma non a causa di un passato che non ritorna più. Vivo tumulti interiori da bambina, quando sognavo una famiglia da Mulino Bianco che invece finiva per assomigliare ogni giorno di più a una sceneggiata napoletana.
C’è un bel testo di Baudelaire tratto da Lo spleen di Parigi e parla di Chimere e rappresenta benissimo la predisposizione dell'uomo a sognare e il suo amore verso questi sogni che cresce in modo proporzionale all'impossibilità di poterli realizzare.
A CIASCUNO LA SUA CHIMERA
Sotto un gran cielo grigio, in una grande pianura polverosa, senza strade, senza erba, senza un cardo, senza un'ortica, incontrai degli uomini che camminavano curvi.
Ognuno portava sulla schiena un'enorme Chimera, pesante come un sacco di farina o di carbone, o come l'equipaggiamento di un fante romano.
Ma la bestia mostruosa non era un peso inerte; avviluppava l'uomo con i suoi muscoli elastici e possenti; si aggrappava con gli artigli delle larghe zampe al petto della sua cavalcatura; e la sua testa fantastica sormontava la fronte dell'uomo come uno di quegli orribili elmi con i quali gli antichi guerrieri speravano di incutere terrore al nemico.
Mi rivolsi ad uno di questi uomini, e gli chiesi dove andavano in quel modo. Mi rispose che non ne sapeva niente, né lui né gli altri, ma che evidentemente andavano da qualche parte, perché si sentivano spinti da un invincibile bisogno di camminare.
Cosa strana, nessuno di questi viaggiatori sembrava avercela contro la bestia feroce che teneva attaccata al collo, incollata alla schiena; si sarebbe detto che la considerasse una parte di sé. Tutti quei visi affaticati e seri non davano nessun segno di disperazione; sotto la cupola splenetica del cielo, i piedi affondati nella polvere di un suolo non meno desolato di quel cielo, camminavano con l'espressione rassegnata di chi è condannato a sperare sempre.
Il corteo mi passò a fianco e scomparve all'orizzonte, nella foschia, dove la superficie curva del pianeta si sottrae alla curiosità dello sguardo umano.
Ancora per qualche istante mi ostinai a voler capire questo mistero; ma ben presto l'irresistibile Indifferenza si abbatté su di me, e fui oppresso dal suo peso più di quanto fossero loro stessi da quelle schiaccianti Chimere.
Sotto un gran cielo grigio, in una grande pianura polverosa, senza strade, senza erba, senza un cardo, senza un'ortica, incontrai degli uomini che camminavano curvi.
Ognuno portava sulla schiena un'enorme Chimera, pesante come un sacco di farina o di carbone, o come l'equipaggiamento di un fante romano.
Ma la bestia mostruosa non era un peso inerte; avviluppava l'uomo con i suoi muscoli elastici e possenti; si aggrappava con gli artigli delle larghe zampe al petto della sua cavalcatura; e la sua testa fantastica sormontava la fronte dell'uomo come uno di quegli orribili elmi con i quali gli antichi guerrieri speravano di incutere terrore al nemico.
Mi rivolsi ad uno di questi uomini, e gli chiesi dove andavano in quel modo. Mi rispose che non ne sapeva niente, né lui né gli altri, ma che evidentemente andavano da qualche parte, perché si sentivano spinti da un invincibile bisogno di camminare.
Cosa strana, nessuno di questi viaggiatori sembrava avercela contro la bestia feroce che teneva attaccata al collo, incollata alla schiena; si sarebbe detto che la considerasse una parte di sé. Tutti quei visi affaticati e seri non davano nessun segno di disperazione; sotto la cupola splenetica del cielo, i piedi affondati nella polvere di un suolo non meno desolato di quel cielo, camminavano con l'espressione rassegnata di chi è condannato a sperare sempre.
Il corteo mi passò a fianco e scomparve all'orizzonte, nella foschia, dove la superficie curva del pianeta si sottrae alla curiosità dello sguardo umano.
Ancora per qualche istante mi ostinai a voler capire questo mistero; ma ben presto l'irresistibile Indifferenza si abbatté su di me, e fui oppresso dal suo peso più di quanto fossero loro stessi da quelle schiaccianti Chimere.
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