Domenica, 20 gennaio 2008



In questo momento dovrei lavorare. Lo so, è domenica, ma il mio istinto di sopravvivenza, venerdì sera, mi ha suggerito di portare il lavoro a casa allo scopo di non essere investita al mio rientro da un’onda anomala di progetti da correggere, debug da fare e telefonate alle quali dedicarmi.
Adesso, seduta come un’indiana sul divano, il portatile sulle gambe mi sento investita da un torpore e da una noia ai quali non so ribellarmi. Questa sensazione è tipica della domenica pomeriggio, quando il cervello si scollega dal corpo e va a ramengo. La mattina, invece, sono sempre pimpante e piena di vitalità. Le spiegazioni sono due. Mi sta arrivando l’influenza oppure il mio istinto proletario mi spinge a ribellarmi all’insano intento di produrre per il padrone.
Nel caso uno posso mettere tutto a tacere con un’aspirina, nel caso due posso incorniciare la rata del mutuo e appenderla al posto del capezzale: se non si produce non si guadagna, a meno che non mi dia alla clandestinità e viva di rapine, battendo a macchina lettere scritte in un linguaggio ostico che dovrebbero spiegare i miei ideali di libertà ma che suonerebbero poco convincenti se chi le scrive vive braccata.
Se la causa del mio inspiegabile torpore non dipende da un singolo motivo A o dal singolo motivo B, ma dalla somma dei due, sono spacciata.
Ogni domenica fuggo a casa mia per godere un po’ di libertà, ma mi accorgo che anche in questo caso sto costruendo una serie di abitudini che mi impediscono di godere pienamente di queste ore. Mi scopro a fissare il granello di polvere, la sedia spostata e se non intervengo mi agito furiosamente. Sarà che devo sfogare tutta la rabbia repressa durante la settimana e me la prendo per cose futili. Dovrei mostrare a tutti l’espressione di soddisfazione quando anche l’ultimo granello di polvere è perito. Roba che nemmeno avessi inventato l’elisir di eterna giovinezza. Per punire questa mia patologia da casalinga mi sono immortalata con l’autoscatto del telefono cellulare, mentre, aspirapolvere in mano e in tuta da ordinanza, combattevo un’aspra battaglia contro la polvere sul ripiano del camino. Così ho realizzato che non voglio diventare una repressa , il granello di polvere è e rimarrà un granello di polvere e anche se riuscissi a sterminarli tutti quanti per sempre, non risolverei i problemi reali. Sicuramente dirotterei verso altre fissazioni, le manie ossessivo-compulsive che precedono la schizofrenia. Mi chiedo se sono così intenzionata ad allungare le liste dei pazienti di psicologi e psichiatri! Quindi, oggi mi sono ripromessa di fare una tregua con i granelli di polvere, la cenere del camino, le ditate sui vetri. Io resto spaparanzata sul mio divano e mi godo il torpore e chissà che non riesca a fare pure un bel sonnellino dopo pranzo.
Sì, lo so che avevo del lavoro da fare, ma per una volta posso anche io rimandare a lunedì. Sperando di non prenderci l’abitudine, come tutti quelli che non riescono mai ad iniziare le diete.
Durante un periodo veramente no della mia vita, un mio amico psichiatra mi ha detto che sono refrattaria a qualunque forma di aiuto psicologico, che sono come quegli animaletti che se li spezzi in due i due tronconi vivono lo stesso di vita propria, che assomiglio alle lucertole, tagli loro la coda e ricresce. Insomma, se fossero tutti come me quelli come lui potrebbero chiudere bottega. Non so se prenderla come un complimento, però ammetto che le sue parole sono vere. Mi sono spezzata un bel po’ di volte nella mia vita e sono ancora qui, sempre in piedi. Certo, ammetto che le ferite si vedono, ma la soddisfazione di non essermi mai piegata le maschera meglio dei ceroni in faccia ai mimi.

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