Punti di Vista


L’incontro dei giovani del PD con Belgiorno, Guccione e Sarnari è stato molto interessante, ma non sicuramente grazie all’orda di ragazzi e ragazze che hanno invaso la sede del Partito Democratico e alla loro voglia di fare domande, come è stato enfatizzato da un giornale locale.
Intanto perché di domande ne ho sentite tre o quattro poste, oltretutto, dagli stessi ragazzi che penso abbiano voluto l’incontro e quindi sicuramente interessati. Poi, non ho visto questo numero impressionante di ragazzi e ragazze, anzi, aggiungo che era in netta maggioranza la componente dei trenta-quarantenni. Tanto è vero che, ad un certo punto, Belgiorno ha invitato qualche ragazza a parlare e un signore che mi stava vicino mi ha guardato insistentemente, come a volermi incitare a porla questa famosa domanda. Ho temuto che l’invito lo formulasse a voce alta e avrei dovuto giustificarmi dicendo, davanti a tutta la platea, che i venti anni li ho passati da un po’ e tanto perché una signora non rivela mai la vera età avrei potuto aggiungere che ho l’età di Dante quando ha composto la sua opera migliore, con la differenza che lui La Divina Commedia l’ha composta io non sono nemmeno capace si scrivere la sceneggiatura di una commedia all’italiana. Quella di Pierino, Bombolo e la Fenech per intenderci.
Interessanti sono state le storie, i commenti, i vissuti di queste persone. All’inizio non volevo nemmeno andarci a questo incontro. Pensavo di essere fuori contesto. Non sono una giovinetta, ma poi cercavo conferme alle mie impressioni e le conferme le ho avute. Simpaticissimo Belgiorno, con la sua parlata sciolta, ma garbata, quasi gucciniana a volte. Bravo Sarnari e, come al solito, intento a recitare la parte del “maestro”: Guccione.
Non ci sono stati interventi degni di nota, dialoghi stimolanti. La scarsa partecipazione non credo sia stata causa della timidezza dei giovani nei confronti dei mostri sacri (come ha detto Belgiorno, sicuramente svista involontaria perché non credo volesse auto-celebrarsi), ma da timidezza nell’esprimersi in pubblico di fronte a chiunque o da scarsità di pensiero. Perché, ammettiamolo, non tutti i giovani sui quali il mondo fa affidamento per il futuro sono poi così capaci come loro, con il ruolo da intellettuali che amano recitare, vogliono farci credere.
Altrimenti, non si spiegherebbe perché coloro che amano sottolineare e abbellire di ghirigori il loro titolo si rivelino spesso incapaci, gretti e profondamente ignoranti.
Quello che mi ha dato maggiormente fastidio ieri pomeriggio è l’abuso della parola merito. Intendiamoci, sono d’accordo sul fatto che deve andare avanti chi merita di più, ma questo non vuol dire semplicemente che avendo frequentato l’università per quattro o cinque anni, anche grazie ai soldi di mamma e papà che mi hanno permesso nel frattempo di vivere una sana vita sociale, una volta laureato debba avere la presunzione di occupare un posto perché ho faticato sui libri.
Non penso che tutti i raccomandati siano persone incapaci come non penso che tutti i laureati siano persone di valore. Non vorrei mai che la mia amica “laureata” potesse diventare l’insegnante dei miei figli o dei miei nipoti, soprattutto quando la ascolto lamentarsi del fatto che la paga di un insegnante rasenta la fame e nel farlo usa i tempi verbali a sorteggio. Cosa scriverà mai questa sciagurata nei giudizi?
Io diventerei molto severa nelle selezioni. Bisogna dare la possibilità di studiare a tutti quanti, garantire gli stessi servizi di qualità indipendentemente dalle categorie sociali ai quali si appartiene, dopo, però bisogna selezionare con molta attenzione e perizia.
Perché di gente così ne conosco a migliaia. Ho l’amica che ha scelto la laurea in lettere classiche per avere più possibilità di insegnare e poi rifiuta una supplenza dicendo che si vede “obbligata a reclinare l’invito”.
Professionisti che elaborano progetti al limite della legalità, non perché siano dei malfattori, sono semplicemente ignoranti.
Eppure hanno studiato, sono andati all’università. Hanno tutti la loro bella pergamena attaccata sul muro dietro la loro bella scrivania.
Ecco perché sentir parlare di merito in un modo così generico mi ha infastidita. Alla domanda: “Voi cosa fate adesso per cambiare le cose?” mi è sembrato di assistere ad una scena di Ecce Bombo, quando Moretti seduto su una panchina con una ragazza le chiedeva cosa facesse e lei rispondeva: “Esco, vedo gente, faccio cose”….
Non dovremmo dimenticare che il merito si deve applicare anche in altri settori. Tanto è vero che ad un certo punto Belgiorno saggiamente lo ha puntualizzato. Come ha saggiamente puntualizzato che credere che la vittoria di Veltroni sia la soluzione immediata a tutti i mali del paese è sbagliato. Veltroni non ha la bacchetta magica, dovrà lavorare e i tempi sono lunghi.
Credo sia giusto, nel caso non si trovi il proprio ruolo nella città nel quale si vive, prendere la valigia e andare via. Lo dice una che impuntandosi nella decisione di essere ottimista è rimasta vedendo sfumare il sogno di una vita.
Se non fossi rimasta fiduciosa ad aspettare che il fato o una mano amica risolvessero per me le cose incompiute non starei qui a vomitare parole sulla tastiera di un computer, unico modo a me rimasto per esprimere quello che sento.
Sarebbe stato sicuramente più bello se ieri ci fossero stati veramente tanti giovani e non solo giovani laureati o laureandi. Giovani di ogni tipo e categoria ad esprimere il proprio giudizio, le proprie impressioni e le loro speranze ed io di questi ne vedo ben pochi.
Vedo poca vivacità intellettuale in giro e troppa gente tronfia solo perché ha qualche anno di studio sulle spalle.
Sull’altro versante non è che poi ci sia da rimanere tranquilli. Mi riferisco a quei ragazzi che hanno scelto un mestiere al posto dello studio. Ho scritto “un mestiere”, appunto perché uno vale l’altro. Serve solo a guadagnare soldi per truccare l’utilitaria e abbellirla con minigonne, pneumatici maggiorati e doppie marmitte. Auto che servirà per portare a passeggio la fidanzatina il sabato e la domenica con lo stereo che urla stupide canzoni.
Poi ci sono gli abitanti del limbo. Quelli che, come me, non hanno abbandonato gli studi ma che, per un motivo o per un altro, non hanno proseguito. Questi, maggiormente, dovrebbero andare via non appena si accorgono che non ci sono possibilità per non ritrovarsi come me. Non che mi ritrovi male. Ma essere specializzati in un settore completamente diverso da quello per il quale hai studiato può essere uno svantaggio, soprattutto quando vorresti cambiare aria e ti accorgi che fuori dalla tua stanza la specializzazione che vanti non serve a nulla. In questo caso non serve aspettare il colpo di fortuna, bisogna scappare a gambe levate non appena si viene assaliti dal dubbio che quello che si fa non ci soddisfa. Altrimenti si rimane incagliati e i colpi di fortuna non è detto che arrivino.
Si contano sulle dita delle mani i ragazzi che hanno una propria coscienza che avvertono la necessità di aprire un dialogo e fra questi includo quei tre ragazzi di sabato pomeriggio. Che io sia stata d’accordo o meno sui loro interventi non importa ma per carità di Dio, si avverte la propria presenza.
Perché gli altri, anzi, purtroppo devo dire le altre, sabato squittivano e parlottavano sulla loro malaugurata idea di non aver fatto lo shampoo perché adesso i capelli sarebbero venuti appiattiti visto che la telecamera le stava riprendendo. Qualche altra, sicuramente accanita fan di qualcuno che stava in prima fila ha passato il tempo a tempestare l’amica di “Oh come è carino”, “Ah come mi piace”.
D’altra parte nemmeno i grandi riescono a dare il buon esempio. La signora che mi stava dietro ha parlato tutto il tempo con uno, avrà inviato dieci sms e le sarà squillato il cellulare almeno cinque volte e ogni volta entrava e usciva per rispondere disturbandoci tutti quanti. Ma da una signora ultraquarantenne che indossa una gonna con strass e volantini da sembrare una torta Saint Honorè non è che ci si possa aspettare altro.

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