Su troppe cose avrei da ridire. Odio le menzogne e le ipocrisie. Non sopporto le promesse non mantenute né chi parla solo per riempirsi la bocca. Non tollero le imposizioni, i toni di comando, i falsi riconoscimenti, il pretendere tutto come atto dovuto, la non riconoscenza.
Ho capito che in questo mondo non c’è spazio per me. Sopravvivo e basta. Preferisco ormai passeggiare per i viali del cimitero, la domenica mattina, piuttosto che sorbirmi la patetica scena del modicano a passeggio. Preferisco leggere tutti quei nomi antichi sulle lapidi, osservarne i volti sui ritratti e immaginare com’era il mondo una volta piuttosto che vivere il mondo come è adesso.
Se si vivesse ogni giorno con il costante pensiero della morte ogni azione perderebbe di significato. Ma bisognerebbe vedere la morte non come un evento tragico che strappa e distrugge i nostri sogni, quello che siamo e vorremmo o potremmo avere. Dovremmo vedere la morte come il vero metro per misurare la vanità e la vacuità umana.
Sono stanca di tutta questa gente che parla, parla, parla sempre, ma non ha niente da dire. Trovo rivoltanti gli aperitivi del dopo lavoro, pardon: gli happy hours, dove si cerca di essere amici, ma l’amicizia, quella vera, va oltre le chiacchiere da sabato sera. Gli amici si rispettano, si stimano e si vogliono bene. Se voglio ridere affitto un film comico. Mi spiace, non riesco a ridere con chi tenta di trattarmi da marionetta.
Crearmi il vuoto attorno non lo vedo come un modo di isolarsi, ma di proteggersi. Mi proteggo da tutto quello che non sono e che non vorrei mai diventare. Finché mi è possibile voglio evitare di mettere pied, mani e faccia in tutta questa melma.
Sono stanca di questa città farcita di cioccolato e sagre. Stanca dei suoi siti turistici e del suo pseudo museo e delle sue case-pinacoteche, della sua falsa cultura, dei libri scritti dai suoi cittadini professori – filosofi – teologhi. Stanca della sua immobilità, dell’abitudine di comandare stando beatamente seduti. Stanca di questo parlare a vanvera, della perdita di tempo, della disorganizzazione sociale e politica.
E in generale trovo rivoltante assistere al risveglio dell’animo umano solo se Mourinho critica le squadre avversarie, se Totti si stira il tendine, se lo schema di gioco non soddisfa i tifosi. Odio vedere rappresentata l’Italia come il paese campione del mondo, il paese di Valentino Rossi, il paese cha dato i natali alla Bellucci. Meglio sarebbe ricordarselo come la patria della pizza e delle commedie Napoletane.
Per non parlare di tutti gli opinionisti che affollano la TV con i loro occhialini colorati e le loro cravatte ridicole, le loro liti da comari e i loro discorsi aperti al nulla e inconcludenti.
Siamo alla deriva, in mano a buffoni di corte che decidono del nostro futuro mangiando in ristoranti di classe, bevendo vini pregiati, organizzando feste, viaggiando su auto e aerei di lusso. Ma di questo sembra non importare a nessuno.
Il mondo non cambia se la gente non cambia o non vuole cambiare. Il regno di Camelot è solo una favola. Qui niente e nessuno è giusto, saggio o imparziale.
E pure il mio sembra un discorso inconcludente, qualunquista, da salotto. Eppure è un discorso accorato fatto da chi è stanco di subire e di illudersi che le cose possano veramente cambiare.
Mi spiace, non credo più a nessuno, soprattutto a coloro che, fino a qualche mese fa, con le loro belle facce pulite mi dicevano che le cose potevano cambiare, parafrasando (o scopiazzando) lo slogan di qualcun altro e invece, poi, non potendo cambiare le cose stando seduti al posto di comando, si sono tirati indietro dicendo che avrebbero lavorato meglio stando al posto di sempre.
Ma quello che mi fa più male è vedere gente premiata solo perché sa sorridere meglio, si veste meglio, sa prendere meglio per i fondelli, ma è più vuota di un guscio di noce secca. Quello che mi fa rabbia è l’attitudine a non vedere dentro e oltre l’apparenza. Per questo io torno sulla mia “isola”. Sarà pure un atto degno del coraggio di un coniglio, ma lottare inutilmente per un ideale è sinonimo di scarsa intelligenza. Il bravo guerriero sa quando tirarsi indietro, fra l’altro la figura di Don Chisciotte è già stata inventata e i baffoni mi starebbero pure male.

Commenti

  1. Non so se hai mai letto il libro di Terzani "La fine è il mio inizio"...
    Credo sia un testo di speranza(rispetto alle tue parole, che seguo sempre con interesse)e di "pensiero nuovo".
    In fondo è come se anche tu avessi saltato la pira, verso qualcosa di inesplorato, immacolato, diverso e per questo vissuto come le eccitazione della prima ora...

    Amani...

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