Sospiri

Guardiamoci negli occhi e diamo un taglio a questa finzione sterile.
La confusione porta a generare opere d’arte e con un’attenta riflessione si potrebbe giungere a sbrogliare la matassa, ma il capo del filo, una volta ritrovato, potrebbe farci precipitare definitivamente nel baratro, quando la confusione, almeno, ci impedisce di saltare giù.
Affannarsi a cercare la propria dimensione è dilaniante se ci si accorge di trovarsi, nel tempo e nel luogo sbagliati. Mi sento un navigante esploratore a cui hanno tolto il vascello e deve accontentarsi di guardare soltanto quella meravigliosa distesa d’acqua che è il mare.
Vivere su questa arida terra quando oltre l’orizzonte potrebbe esserci la propria rosa sotto la campana di vetro … Se solo potessi raggiungere il mio luogo mi farei pungere da mille serpenti velenosi. L’unico veleno che ingoio, adesso, è quello che secerne dal mio senso di impotenza.
Non riesco più a sentire le sensazioni che non siano quelle più basse: freddo, fame, sete, sonno … Sono indifferente, a parte i momenti nei quali faccio violenza a me stessa scuotendomi da questo torpore, sono capace di rimanere ferma a guardare oltre la finestra e perdermi dietro i miei pensieri che cambiano forma come le nuvole che osservo.
Certi giorni mi sento uno straccio, alla stessa stregua dei panni stesi. Come loro mi sento sballottata, mio malgrado, dal vento, in preda ai desideri e alle follie del momento altrui, agganciata a queste mollette che mi tengono stretta e ferma peggio della morsa di una tenaglia.
E’ non è un piangersi addosso, ma un constatare quanto il disegno divino, il destino o qualunque cosa sia possa diventare beffardo, dispettoso, impietoso, umorale a scapito di chi vorrebbe solamente quietamente vivere e che da tempo ha smesso di tentare di spiccare il volo.
E intanto osservo la gente e non capisco, non riesco mai a darmi una risposta. Come possono accontentarsi di volare basso? Ci sono delle cose che mi lasciano indifferente. Non capisco il tempo speso in giro ad inseguire il vuoto, senza mai un discorso serio. Non capisco le persone che parlano sempre e non dicono niente che non riescono a scalfire, non dico scavare, la patina di vacuità della quale si sono rivestiti. Non capisco la gente che non ama stare da sola. La solitudine è la migliore terapia per conoscere sé stessi a fondo. Non capisco chi ha paura del silenzio e deve necessariamente riempirlo di cose inutili. Io, singolo individuo, ho bisogno di conoscermi e capire qual è la giusta direzione, altrimenti non sarò mai in grado di stare in mezzo agli altri, potrei rischiare di confondere la mia personalità con quella degli altri o peggio ancora di venire schiacciato dall’invadenza altrui.
Non mi piace quello che vedo, che sento, che vivo. E giornalmente, per vivere, mi vedo costretta ad abbandonare la mia isola. Ci fosse un modo per non abbandonarla più lo prenderei in considerazione. Arroccata nel mio rifugio è più semplice non avvertire la nausea che mi provoca questa piccola realtà che mi circonda. Sulla mia isola posso godere della mia solitudine e non sentirmi sola fra una marea di gente. Questa è la peggiore solitudine che possa esistere.

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