Medit(azione)

Avere ragione. Non mi intessa più. Avevo ragione anche questa volta, ma se chi sa che ho ragione appositamente fa finta di nulla, sapere di averla non mi fa stare meglio. Ho provato a fare di più e non è servito a nulla, ho provato a fregarmene e non è servito a nulla, ho provato a sottolineare le mie ragioni e gli sbagli altrui e non è servito a nulla tranne a farmi sentire una serpe, anche se (e ridaiiiii) a ragione.
Ora mi resta solo il mio bel bagaglio di esperienze che fuori da qui non serve a nulla. Perché fuori da qui mi tocca imparare nuove cose e magari potessi farlo, non ho nemmeno l’occasione giusta per iniziare daccapo.
Avere ragione fa stare soltanto male. Non ti dà da mangiare, non cura i disagi, non ti rende serena. Magari potessi avere torto e stare bene. Con la mia coscienza i conti li farei dopo, magari sul letto di morte, ma non penso che sarebbe un peccato tanto grave, altrimenti, qui dentro, la maggior parte andrà all’ìnferno e qualcuno è molto religioso. Peccato che di fronte agli interessi il dio denaro vinca sempre sul Dio che si prega la domenica.
Bene, non mi resta che raggiungere la calma tramite la meditazione. Cosa che mi fa imbufalire ancora prima di metterla in pratica. Stare fermi, con le gambe incrociate ad immaginare prati verdi e cieli azzurri di montagna.
Bleahhh. Meglio farsi un bicchierino. Ci si rilassa molto prima. Ma non bevo, tranne la birra e quella non fa lo stesso effetto.
Bene, stasera arriverò a casa, siederò con la schiena dritta e avvolgerò il mio pollice della mano destra con la mano sinistra chiusa a pugno (versione per gente mancina). Poi cercherò di sentire la “scarica elettrica” che questa posizione dovrebbe darmi. Per fare prima posso mettere un dito nella presa, chissà. Se mi concentrerò bene riuscirò a sentire il terzo occhio. Quello che nei disegni sta sempre in mezzo alla fronte.
Mi chiedo poi se un occhio in più non sia invece un bel problema. Sono già sensibile con due, tre mi sensibile ancora di più. Avrei bisogno di una seconda lingua, semmai. Così, quella che mi porta a dire le cattiverie me la posso mordere e con l’altra posso parlare, mangiare o fare le boccacce.

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