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Non ho avuto modo di salutare qualcuno che non c’è più. Se ne è andato la mattina del primo Maggio, senza disturbare, in silenzio. Il pomeriggio sarei dovuta andare a trovarlo, ma non ho fatto in tempo. Mi aspettavo che poteva succedere da un momento all’altro, ma spesso, di fronte a certe situazioni preferiamo ingannare noi stessi e così continuiamo ad occuparci delle cose di tutti i giorni tralasciando tutto il resto.
Mi piace pensare che sia andato a fare un lungo pic-nic. Proprio lui che amava avere tanta gente attorno e il buon cibo. Io meno, anzi per nulla e questo adesso mi spiace. Perché non ci saranno più ponti da primo Maggio, né pasquette, né Natali da trascorrere assieme.
Non ho amato l’omelia di quel prete strozzino, né la preghiera dei fedeli dei parenti affranti. Cos’è la luce della misericordia che accoglie? Qual è questa sofferenza che si trasforma in amore? Chi è questo Dio Padre che ci ama e ci richiama a sé? Parole vuote e vane. Volevo dirgli ciao a modo mio. Volevo che tutto non si trasformasse in quelle frasi abusate che ormai sembrano banali, ma non ce l’ho fatta e gli altri, conformisti fino al midollo, non avrebbero capito.
Ancora adesso mi illudo che lo rivedrò. Lo dicono gli stivali da giardino lasciati lì per terra. Lo dice la sua auto parcheggiato nel vialetto, lo dicono le piantine piantate nell’orto e lo dice il mio senso di colpa per non essere corsa a salutarlo quando il cuore me lo suggeriva.
Tanto lui lo sa e credo che ovunque sia, se può, continuerà a volermi bene così come sono

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