Elucubrazioni del Lunedì

Che i programmi di approfondimento siano, in larga parte, una perdita di tempo e nemmeno tanto innocua, lo sapevo da un po’, ma mai come ieri ne ho avuto la conferma.
Intanto non capisco come si faccia a commentare sulle idiozie televisive che vengono trasmesse in TV senza rischiare di dirle le fesserie. Se un programma è una ciofeca, non guardarlo, cambia canale e basta.
Mi viene il sospetto che fare la critica al programma scemo sia la giusta copertura per guardare il programma perché piace, ma ci si vergogna ad ammetterlo.
Alla fin, fine, tutti giurano di non aver votato il tizio che puntualmente viene eletto, tutti dicono di non vedere i reality show, ma dominano l’argomento ….
Mi chiedo pure che utilità abbiano tutti questi professori e studenti del linguaggio televisivo. E’ sicuramente un bel modo di guadagnare denaro occupandosi del niente.
Si siedono in cattedra e si parlano addosso. Ognuno di noi possiede capacità critiche, più o meno sviluppate. Quasi tutti si interrogano sul senso delle cose e sull’inutilità delle altre. Questi programmi di approfondimento non mi servono in quanto riesco ad approfondire da sola a meno che, questi signori non pensano che siamo totalmente idioti.
Un’altra cosa che mi chiedo è perché chi si crede intellettuale debba necessariamente conciarsi da pagliaccio: pantaloni improponibili, acconciature orride, scarpe aberranti, occhiali super colorati. Boh.
Se gli interventi, poi, sono fatti tramite collegamento in esterna, si sollazzando dietro enormi librerie costipate di volantini, libri, volumi rilegati in pelle e sulla scrivania hanno sempre, dico sempre, un gatto peloso che sonnecchia.
Tutti hanno scritto un libro e tengono un blog. Lo so, lo faccio pure io, ma non lo faccio per apparire. Io, non correggo quasi mai quello che scrivo, infatti lo si nota. E il mio stile è spontaneo. Vomito quello che sento e non mi preoccupo se un probabile lettore si annoierà o meno leggendomi.
Questi maestri della parola no. Per esempio, una persona che mi sta sulle scatole è Guia Soncini. Ne ho già parlato male in qualche mio vecchio post, ma siccome quando una cosa non la sopporto cerco di conoscerla bene per analizzare il motivo della mia antipatia, sto cercando di leggerla quasi quotidianamente sul suo blog. Anche lei ha scritto un libro, che ho letto e che trovo orrido e inutile, ma ancora cerco di capire cosa abbia di bello il suo stile. Lo trovo insulso. Non ha l’ironia di Travaglio. Non è una scrittura fresca e spontanea. E’ inutilmente ridondante. Eppure … Di tanta gente che popola giornali, TV e blog vari, si usa dire … Eppure!
Cambiamo discorso che è meglio.
Sono tornata indietro di dodici anni, quando ancora ero una giovane ventiquattrenne piena di belle speranze. Ho fatto questo viaggio nel tempo grazie ad un gruppo musicale italiano che non lascerà il segno nella storia del rock, ma è piacevole. Una canzone ascoltata dopo anni riesce a fare tornare a galla dei ricordi che si credevano perduti. E soprattutto, cosa che passati i trent’anni è piacevole, ci si sente come quando se ne aveva venti. Che davanti allo specchio il tempo passato non si noti non ha importanza. Sono i sogni che si avevano ed ai quali si è dovuto dire addio che mancano.
Ho appena aperto il cassetto della mia scrivania. Ho trovato i colori, i pennarelli, le matite dure e morbide, il carboncino e le gomme che usavo durante la pausa pranzo per sfogarmi un pochino, ma che non tocco più da anni. Non ricordo più come si tiene in mano una matita.
Mi sono rattristata. Ci sono tante cose che amavo fare e che adesso, incattivita come sono, non faccio più. Ma poi perché? E poi c’è l’arpa che vorrei imparare a suonare e le mie passeggiate al mare il sabato mattina. Ci sono i miei esercizi di scrittura creativa. Ho trovato qualche pezzo fra le mie vecchie agende e devo dire che non sono poi così male. E più di tutto c’è il mio libro sui fari. Una gestazione che non avrà mai fine. Ho mollato tutto per combattere contro i mulini a vento. E non mi è rimasto nulla, tranne il rammarico di aver perso tempo.
Rivoglio i miei momenti, voglio tornare a sporcarmi le mani di colore. Ma più di tutto voglio tornare a provare piacere nel farlo. Per dirla come quella canzone lagnosa degli anni 70: Non si può morire dentro. Ma se mi interrogo su questo qualche segno di vita ancora c’é.

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