Questione di Gradi

… Qui sono tutti O QUASI dei giovani professionisti laureati … Il quasi sono io. E l’ho detto, a voce alta, sorridendo, sorniona, all’ospite d’onore che ha guardato un po’ male il genitore della frase.
A volte ritorna, l’annosa questione del titolo di studio. Io non ce l’ho. O meglio, non ho la laurea. E sinceramente adesso mi scoccia pure sottolineare che non ho potuto. Non aver potuto o non aver voluto non conta più tanto, visto che, nonostante il mio nome sia monco di titolo, riesco a fare meglio e più di chi il titolo ce l’ha. Non mi sento in difetto. Anzi, mi sento orgogliosa del fatto che non sono da meno. Punto.
Una volta per tutte, vorrei che si chiudesse questo noioso capitolo. Ho capito che qui dentro non cresco a causa della mia mancanza di titolo, ma me ne sono fatta una ragione. Certo, non dico che mi piaccia assistere alle lusinghe fatte a gente inetta solo perché si chiama dott. o dott.ssa X e poi non vale mezza lira bucata. Vabbé. Sinceramente mi basterebbe che mi si lasciasse in pace. Visto che mi danno tante cose da fare e pure difficili, perché non le affibbiano ai miei cari colleghi dottori? No, loro sono occupati a parlare per i corridoi. Ci vuole calma e sangue freddo. Cose che grazie a Dio sono riuscita ad ottenere.
In barba al titolo, in questo periodo mi vedrei meglio in un giardino seduta su un divanetto di vimini, con una brocca di tea freddo, un libro e un cane che mi gironzola fra i piedi. Insomma, un paesaggio stile Mulino Bianco, pubblicità anni ’80. Per avere questo sono disposta ad indossare camicie bianche (da Ace della nonna) con spalline e colletto ricamato, gonnellina a pieghe e mocassini con il tacco. Anzi, mi faccio pure la permanente. Sai che felicità. Il marito fuori dalle scatole perché al lavoro, di quelli che ti fa finire tanto tardi la sera e i figli a scuola o in giro per i campi con gli amichetti, a raccogliere spighe e stelle a forma di biscotto al cioccolato. In questo caso credo proprio che camperei cento anni.
Il mio desiderio sarebbe quello di vivere in una piccola oasi di pace. Lontana dalla gente e dalle automobili, dal traffico e dai rumori. Insomma, non dico una campagna sperduta, ma un fresco boschetto, un piccolo paesino di pescatori burberi, ma gentili di cuore. E stanotte, infatti, ho sognato il mio faro. Al solito, come ogni notte, soprattutto quando vado a letto un po’ delusa ed amareggiata. Il faro verde in mezzo al mare, la mia casa che raggiungo, come Gesù, camminando fra le acque.
Lo so, lo so, un po’ esagerata, con qualche mania di grandezza. Ma sono i miei sogni e ci faccio quello che voglio. Ci mancherebbe che venissero a rompermi le scatole anche nella quiete del mio sonno.

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