I tuoi pensieri sono un cane in chiesa che tutti prendono a calci
Prendo in prestito da Elasti: “Quando tocchi con mano un'alternativa possibile, un tarlo si insinua dentro di te e il tuo mondo rischia di perdere il suo senso e i tuoi punti fermi iniziano a vacillare”.
Presa dalla foga del lavoro non mi accorgo del tempo che passa e mi ritrovo che la pausa pranzo è già arrivata. Nel frattempo ho subito i soliti soprusi di chi si crede il capo (e non lo sarebbe più), ma faccio buon viso a cattivo gioco, o almeno ci provo. Penso che la vita vera è tutto quello che resta fuori di qui, peccato mi rimanga ben poco. Dovrei avere una vita vera da concentrare in sole cinque ore giornaliere. Le rimanenti dovrei pure dormire. Per svegliarmi riposata e serena e tornare qui dentro, in questo zoo. In cinque ore ci infilo il divertimento, i doveri e gli obblighi casalinghi, la cura e l’igiene personale, l’attenzione per le persone a me care, la cena e qualche spettacolo in TV. La mia vita extra-lavorativa ha la capienza di una lavatrice da due chili riempita da roba che ne pesa cinque.
E’ curioso vedere come le cose qui dentro cambiano, ma resta sempre tutto uguale. I parassiti sono rimasti tali e chi merita può scegliere se scalpitare o lasciare correre. Io ho scelto la seconda soluzione. Forse è solo colpa del mio nome e della mia natura mediocre.
Essere non brutta, né bella. Né stupida, né super intelligente. E in più ricevere in eredità un nome ed un cognome orribili mi ha resa mediocre, appunto. Chi è mediocre è destinato ad essere invisibile, a condurre una vita invisibile e grigia. Il grigio, purtroppo, non mi dona per nulla. Ho deciso che non voglio la responsabilità di mettere al mondo un figlio mediocre, a meno che non sia capace di trovargli un nome che gli permetterà di avere un posto nella storia: Ruggero, Lucrezia, Marcantonio, Gerardo, Ginevra … Inizio ad odiare i miei genitori. Cosa mi hanno insegnato? Nulla. Solo che la famiglia è un nucleo chiuso e asfissiante. Che bisogna sempre preoccuparsi di come si sta fisicamente e mai moralmente. Che bisogna accontentarsi perché andare oltre non è concesso. Che si nasce con una buona o cattiva stella e hai voglia a cercare di cambiare le cose. Insegnamenti che non mi sono mai serviti visto che sin da piccola ho iniziato a mettere il naso oltre la finestra di casa mia. E più crescevo e più insulsi mi sembrano questi consigli. Più cercavo di capire e meno giustificavo come sono stata cresciuta. Così, al di là dell’affetto che mi può legare ai membri della famiglia, non riesco a starci a contatto per più di dieci minuti senza sentire una sensazione di soffocamento e noia mortale. Andare via da questo posto, potrebbe essere pure una bella scusante per farmi vedere il meno possibile senza sentirmi in colpa.
Presa dalla foga del lavoro non mi accorgo del tempo che passa e mi ritrovo che la pausa pranzo è già arrivata. Nel frattempo ho subito i soliti soprusi di chi si crede il capo (e non lo sarebbe più), ma faccio buon viso a cattivo gioco, o almeno ci provo. Penso che la vita vera è tutto quello che resta fuori di qui, peccato mi rimanga ben poco. Dovrei avere una vita vera da concentrare in sole cinque ore giornaliere. Le rimanenti dovrei pure dormire. Per svegliarmi riposata e serena e tornare qui dentro, in questo zoo. In cinque ore ci infilo il divertimento, i doveri e gli obblighi casalinghi, la cura e l’igiene personale, l’attenzione per le persone a me care, la cena e qualche spettacolo in TV. La mia vita extra-lavorativa ha la capienza di una lavatrice da due chili riempita da roba che ne pesa cinque.
E’ curioso vedere come le cose qui dentro cambiano, ma resta sempre tutto uguale. I parassiti sono rimasti tali e chi merita può scegliere se scalpitare o lasciare correre. Io ho scelto la seconda soluzione. Forse è solo colpa del mio nome e della mia natura mediocre.
Essere non brutta, né bella. Né stupida, né super intelligente. E in più ricevere in eredità un nome ed un cognome orribili mi ha resa mediocre, appunto. Chi è mediocre è destinato ad essere invisibile, a condurre una vita invisibile e grigia. Il grigio, purtroppo, non mi dona per nulla. Ho deciso che non voglio la responsabilità di mettere al mondo un figlio mediocre, a meno che non sia capace di trovargli un nome che gli permetterà di avere un posto nella storia: Ruggero, Lucrezia, Marcantonio, Gerardo, Ginevra … Inizio ad odiare i miei genitori. Cosa mi hanno insegnato? Nulla. Solo che la famiglia è un nucleo chiuso e asfissiante. Che bisogna sempre preoccuparsi di come si sta fisicamente e mai moralmente. Che bisogna accontentarsi perché andare oltre non è concesso. Che si nasce con una buona o cattiva stella e hai voglia a cercare di cambiare le cose. Insegnamenti che non mi sono mai serviti visto che sin da piccola ho iniziato a mettere il naso oltre la finestra di casa mia. E più crescevo e più insulsi mi sembrano questi consigli. Più cercavo di capire e meno giustificavo come sono stata cresciuta. Così, al di là dell’affetto che mi può legare ai membri della famiglia, non riesco a starci a contatto per più di dieci minuti senza sentire una sensazione di soffocamento e noia mortale. Andare via da questo posto, potrebbe essere pure una bella scusante per farmi vedere il meno possibile senza sentirmi in colpa.
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