Pane al Pane

Se avessi desistito alla seconda pagina dall’intenzione di leggere il Cimitero di Praga di Umberto Eco, avrei commesso un errore imperdonabile. Questo libro è semplicemente meraviglioso. Esilarante la descrizione degli ebrei, dei tedeschi, dei francesi e degli italiani e soprattutto quella dei preti che pur facendo riferimento a quelli del XIX secolo rassomiglia ancora a quella contemporanea. Personaggi reali in un racconto irreale che scorre velocemente senza mai annoiare il lettore. Lo avevo in casa da mesi, ma quelle prime due paginette mi avevano resa ostile. Poi, grazie ad una lunga attesa in “sala da attesa”, ho forzato la mia resistenza ed ora sono tutta contenta.
Sono stata nuovamente latitante in questo periodo, ma posso giurare di non aver messo il naso fuori dalla torre. Ho lavorato sodo, spero non a vuoto. Mi riferisco alle fatiche fatte (e che sto continuando a fare) per trasformare la mia idea in realtà. Ho un sito internet in allestimento, un depliant in perenne modifica, pezzi pronti e alcuni in elaborazione. So che potrebbe rivelarsi tutto tempo perso, ma se non lo faccio adesso non lo farò mai. Ora che altre persone stanno investendo in questa mia idea balzana non posso tirarmi indietro. Sono io, per una volta, la leader del gruppo.
Sì, io, l’eterna seconda: la seconda figlia, la seconda nipote, la seconda ai giochi della gioventù.. e poi la seconda (o ultima?) al lavoro. Quella che ha sempre sgobbato e che poi alla fine non ci ha mai guadagnato nulla. Sarò pure una certezza, ma oramai credo che nemmeno questo serva più considerando i tempi che corrono. E comunque ho deciso di buttarmi in qualcosa di più stravagante che appaghi le mie doti (se posso chiamarle così) artistiche che ho accantonato in nome di una sicurezza economica che non ho raggiunto.
Non voglio più vedere le mie idee rubate da altri che per tempo e possibilità sono arrivati primi. Potrei riferirmi alla sala da tea, quella che avrei voluto da tempo realizzare. Invece è spuntata come un fungo, dalla sera alla mattina, un po’ più fricchettona rispetto a come la vorrei io, con arredo ed organizzazione da “gente di sinistra-ecologista-mezzo orientaleggiante-con musica indie di sottofondo”. Non è una critica, per carità, il locale è accogliente e le ragazze sono simpatiche, ma la mia sala da tea, sarebbe tutta un’altra cosa. Intanto vorrei uno stile Old-England, la boiserie alle pareti, tante librerie in decapè piene di libri da leggere e poi le alzatine piene di cup-cakes colorati, piantane in vetro Tiffany rilegato a piombo, poltrone comode e tanti tea, tanti zuccheri aromatizzati e l’acqua fatta bollire sul fornello non con il vapore, perché questo rovina il sapore del tea. Ma credo che il mio Stregatto, sì avevo scelto pure il nome, non vedrà mai la luce!
Così ho dirottato su qualcosa che richiede un investimento a costo zero (è bastato rinunciare ad un paio di stivali nuovi e a qualche vestito comprato a saldo), ma al quale sto dedicando la stessa energia.
E cosi, eccomi qui, con la spada di Damocle che penzola sulla testa, impegnata a scacciare i brutti pensieri e le angosce del periodo e ad investire energie anche se sempre più arrabbiata contro le ingiustizie, come Don Chischiotte.
Sono abbastanza grande da capire che il mondo non sarà mai perfetto come lo immaginiamo. Anche perché ognuno di noi ha la propria concezione di “perfetto”. A me basterebbe una società più educata. E per educata non mi riferisco solo all’obbligo di rispondere ai saluti, cedere il passo a chi ti sta dietro, rispondere grazie se ci viene porto qualcosa.
Io vorrei che si rispettassero le persone qualunque sia il ruolo che occupano in società, indipendentemente dal loro aspetto e dal loro potere economico e sociale. Mi piacerebbe che si potesse parlare l’un l’altro senza covare dentro la sicurezza di essere migliore, più potente, più bello, più fortunato. E poi vorrei giustizia a partire dalle piccole cose.
Mi sono scocciata di fare la figura della fessa solo perché pecco di buona educazione. Ho voglia di strombazzare al cretino in auto che ti ruba la precedenza e poi cammina a velocità di crociera con il telefonino in mano. Stancata di sopportare la collega che sta male sempre dopo i festivi e invece sta a casa a farsi i fatti suoi accollandoti le cose che dovrebbe fare lei con aria amichevole finta come la bigiotteria. Potrebbero, almeno, accollarmi il suo stesso stipendio! Rotta di dover sempre dire che va bene al “Ciao, come stai?”. E’ il momento che il mio parlare da vangelo: sì, si, e no, no, si trasformi in pane al pane e vino al vino. Sperando di non ubriacarmi a furia di bere per far scendere il pane dal gargarozzo.

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