Ora et labora

Il rientro dalle vacanze non poteva riservarmi sorpresa migliore: due ore di straordinario al giorno per tutto il mese di settembre e, forse, probabilità di sabati lavorativi. Io non sono stata mai fiscale con gli orari lavorativi. Sono sempre arrivata quasi un’ora prima dall’entrata effettiva e, al momento di uscire, non ho lesinato minuti in più. Però, in questo periodo, pensarmi altre due ore chiusa in questo bugigattolo di ufficio, mi assale l’angoscia.

In questi giorni ho bisogno di silenzio, quiete, di paesaggi, di passeggiate tranquille. Non mi si può chiedere di rimanere chiusa qui dentro. E’ atroce il solo pensiero.

Intanto, stamattina, sono arrivata un’ora prima come stabilito. Come al solito, stra-puntuale da fare schifo, il muso lungo e voglie omicide. Ho tutto un disordine mentale e fisico che mi sovrasta. Lo stomaco, già al secondo giorno lavorativo, è andato a farsi benedire, sono tornati i mal di testa e le fiacchezza.

Durante il tragitto casa-lavoro mi sono fatta due conti. Quanto mi rimane da vivere? Leggendo i manifesti funerari (non so come si chiamino) noto che la maggior parte della gente muore fra i 71 e gli 81 anni. Sono dieci anni tondi, tondi, non sapendo se morirò prima degli ottanta o dopo i settanta mi calcolo una media non molto ponderata. Morirò verso i 75 anni.

Faccio una sottrazione e mi accorgo che mi rimane da vivere esattamente il doppio dei miei anni. Quindi, ho un’altra parte di vita che vorrei vivere al meglio possibile. Cosa farei, potendo, per rendere migliore la mia vita? Penso che darei retta all’intuito e per niente alla praticità. Ci aggiungerei una sana dose di follia e vedrei come andrebbe a finire.

Per prima cosa rassegnerei le dimissioni. Non potrei contare nemmeno sul TFR, visto che l’ho investito in un fondo pensione. Con l’ultimo stipendio, e niente altro sul quale contare, mi recherei presso un’agenzia viaggi. Comprerei un biglietto solo andata per l’Inghilterra o la Bretagna, questo dettaglio lo deciderei all’ultimo momento, prenoterei una stanza in una pensione, tornerei a casa per gettare alla rinfusa quattro stracci in un trolley e mi recherei all’aeroporto. Ci scommetto che non sbaglierei neppure strada. Arrivata a destinazione poserei il bagaglio in stanza e munita di cappello e sciarpa, si perché io partirei in autunno o in inverno, andrei a spasso per la città. Al primo pub supplicherei di prendermi come cameriera, vorrei servire birre e colazioni inglesi. Prenderei un cane che porterei a passeggio nelle mie giornate libere, leggerei seduta sotto un albero di un bel giardino pubblico qualsiasi, passeggerei per le brughiere, perfezionerei la lingua parlando con la gente del posto: pensionati, pescatori, casalinghe che mettono a seccare fuori il pesce o giovani mamme che attendono i figli all’uscita di scuola. Vedrei altre albe e altri tramonti, riempirei i polmoni di un’aria diversa.

Questo non sarebbe tempo sprecato, ma tempo vissuto. E smetterei di conteggiare il tempo che mi resta.

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