Non mi piego
Ieri,
ho avuto il mio Bel Carnevale. Nessuna maschera, niente coriandoli e stelle
filanti, nessuna allegria, vera o finta. Si usa spesso dire, quando accadono
fatti spiacevoli, che la cosa appena accaduta è la peggiore che ci sia mai
capitata. Invece ieri ho imparato che non c’è mai fine al peggio e che il
peggio può manifestarsi in tanti modi perché non pecca certamente di fantasia. Dalla
scorsa domenica mi stavo sforzando di pensare positivo o almeno non temere solo
catastrofi in arrivo. C’erano alcuni segnali ed io sono fatta così, leggo i
segnali. Evidentemente non ho letto bene.
Non
mi sento arrabbiata o triste. Sono stanca. E non ho voglia di parlare con
nessuno perché tanto non capirebbero e perché le mie lagne le voglio tenere
soltanto per me. E poi non mi piace essere consolata. Si consolano i bambini ed
io sono già grande.
Ci
vorrebbe una lunga vacanza. Non di quelle con le palme, il mare azzurro e gli
aperitivi con gli ombrellini. Questo genere di vacanze li fa chi usa mettere i
pantaloni dentro gli stivali, le cinture sopra i maglioni, il mono-orecchino,
il colletto della polo alzato, i pantaloni ruggine o color cachi. Ci vorrebbe
una vacanza che mi porti lontana da questa realtà.
Però
sono grande ed essere grandi significa che bisogna saper scindere le cose. Se ho
un problema personale non me lo devo portare dietro al lavoro. Se ho un
problema al lavoro non devo portarlo in casa. E se li ho tutti e due?
La
mia pseudo amica continua a decantare l’utilità di un sostegno psicologico. Un
sostegno, dice, che l’ha aiutata ad uscire fuori da un periodo nero. Mi
racconta sempre di come ancora stra-benedice i soldi spesi per blaterare le sue
pene a qualcuno pagato per ascoltarti (se ti ascolta). La mia amica è una
privilegiata. Una di quelle che ha sempre avuto tutto e per giustificare un
capriccio scomoda le solite teorie del conflitto con la mamma mai risolto, il sé
oppresso…. Ora, non è che io debba per forza fare paragoni con me e con il mio
vissuto. Però, cavolo. I conflitti con la mamma li ho avuti anche io, la
soppressione del sé e delle proprie aspirazioni… di quello potrei scrivere all’infinito.
Ma se avessi potuto vivere tutto questo nell’agiatezza economica, fra viaggi,
amici, bei vestiti e gente che conta sarei stata senz’altro avvantaggiata.
Sinceramente non sono favorevole al ricorso allo psicologo. E’ come se la
gente, invece di elaborare quello che la fa star male, ricorra a qualcuno che giustifichi
lo stare male con una teoria e una pasticca, senza la quale la teoria va a
farsi benedire. Credo sia necessario elaborare tutto e poi andare oltre. Affondare
e se sei fortunato risalire. Posso fare a meno di spendere 100 euro a seduta
per un terapeuta perché so da cosa mi viene il male e non ho voglia di sedare
il mio stato d’animo chimicamente. Sarebbe ammettere una sconfitta.
Se
riuscissi ad uscire da qui, tornare a casa, chiudermi la porta alle spalle e
sentirmi serena sono stra-arci-sicura che il resto potrebbe andare a ramengo.
Devo solo trovare il modo di farlo e la soluzione è volgarmente materiale. E
devo riuscirci, malgrado l’omino dispettoso, anche a costo di ammettere la
sconfitta e ripartire da zero. Non può piovere per sempre disse il protagonista
de “il Corvo”. E’ vero, dico io, non può piovere per sempre, nemmeno dentro
casa.
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