Planning in Aria


Che io voglia andare via da qui è un dato di fatto. Che io non sappia come è il vero problema.
Seduta dietro a questa stretta scrivania, con il telefono che suona incessantemente, costipata in una stanza piccola e sovraffollata, mi chiedo come facciano ad esistere mestieri e professioni che sembrano così inutili, ma che ti permettono di vedere il mondo. Ho scoperto che esiste il fotografo di reperti archeologici. Gente che, dotata di ottime reflex e micro obiettivi, scattano foto a reperti antidiluviani. Queste foto, poi, vanno pubblicate. Questa gente, per giunta, viaggia. Qualcuno fino in America. Se non mi si dice quale sia il rovescio della medaglia posso solo schiattare di invidia.
Io che mi accontenterei di scrivere libri o articoli da un piccolo paesino inglese o americano, stile Signora in Giallo, mi chiedo come si faccia a scegliere la giusta direzione. Se avessi avuto un titolo di studio ben specifico, avrei mollato baracche e burattini trovando il coraggio non solo di iniziare l’avventura, ma anche di tornare indietro ammettendo di avere sbagliato. Purtroppo, a causa della mia adolescenza irrisolta, mi ritrovo qui a dover dire grazie per avere la fortuna di percepire uno stipendio ogni dieci del mese. Eppure sono sempre più convinta che bisogna recidere il ramo secco e ricominciare da zero.  Perché pensare che tutto dipenda dall’età.  Perché avere quarant’anni invece di trenta o venti dovrebbe impedirmi di aspirare a qualcosa a me più consona? E’ veramente solo questione di età o di pedigree, come chiamo io la provenienza sociale?
Io lo so di essere una particella spuria nel resto della materia. L’eccezione che conferma la regola. Calimero in mezzo a tanti bei pulcini bianchi. Sono il Rosso Malpelo fra tanta gente con il sorriso curato, la laurea in un cassetto, la casa pronta dove andare ad abitare, la comitiva con la quale condividere viaggi o serate in pizzeria e regali da fare per le feste comandate. Non c’è niente di tutto questo, però, che io riesca ad invidiare seriamente. Io vorrei soltanto cambiare direzione. Vorrei soltanto riuscire a vivere senza preoccuparmi di scadenze alle quali non posso fare fronte. Vorrei alzarmi una mattina e non preoccuparmi di fare incastrare per bene i pezzi, altrimenti la torre crolla. Vorrei, ogni tanto almeno, tornare a casa senza mal di testa e le orecchie che mi ronzano. Comprare il vestito che mi piace, senza dover far quadrare i conti.  Evitare il traffico cittadino e la gente incivile che complica la situazione. Sfuggire dalle persone lente. Quelle persone prolisse che per raccontarti una cosa la prendono alla lontana o che si muovono come lumache o peggio ancora, lente di pensiero.
Però sono ancora qui a chiedermi cosa voglio e cosa so fare veramente. Boh. Non lo so davvero. Un cane alla catena può solo immaginare cosa significhi correre libero. Se gli si sciogliesse la catena correrebbe a perdifiato per un po’, ma quale direzione, alla fine, sceglierebbe? Il detto recita: Un uccello in gabbia non canta per amore, ma canta per rabbia, ma se gli si aprisse la porta della prigione quale destino avrebbe? E se qualcuno o qualcosa, sciogliesse le catene che mi trascino dietro da un po’, quale sarebbe il mio futuro e soprattutto, dove sarebbe?

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