Wasting Time
Qualunque cosa tu possa fare
o sognare di fare, incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere e
magia. Incominciala adesso.
La frase l’ho rubata. Non so di chi sia e non mi interessa
andare a cercare se è una frase nota o soltanto detta da qualcuno che aveva un
sogno e ce l’ha fatta. Quello che conta è che dice la verità.
Non racconto i miei giorni di fiera. E’ stato solo aspettare
che il tempo passasse, ma quel che è peggio è stato passare il tempo non avendo
altro da fare che guardarsi attorno o fingere di scrivere al pc, perché non si
può leggere un libro, non è professionale. E questo è l’unico modo per fare
passare bene il tempo, se non puoi uscire, passeggiare, scegliere il percorso
seguendo l’istinto. Non ho scritto perché non mi andava di isolarmi e farmi
ripetere che non lego, non mi amalgamo che sono la solita asociale. Non l’ho
fatto perché la compagnia, almeno quella, non è per niente pessima e poi perché
io scrivo di getto, solo se qualcosa, qualcuno, una frase, un colore, un’immagine
mi colpiscono. Allora scateno la fantasia.
La frase mi ha colpita. Forse è una frase semplicissima, ma
su di me ha avuto effetto. Succede, anche con le canzoni, quelle sciocche che
parlano d’amore. Quelle canzoni che cantano la sofferenza dell’anima o del
cuore. Te ne stai fermo ad ascoltare ogni singola parola che sembra essere
stata scritta proprio per te. Poi il momento passa e se riascolti la canzone ti
accorgi di quanto fosse sciocca e stucchevole e banale. E quasi, quasi te ne
vergogni. Così, forse, capiterà con questa frase. Ma intanto me la ripeto in
continuazione. Proprio perché ho in testa tante idee, troppe idee e vorrei
metterle in pratica tutte quante. Ma non so come si fa e un po’ ho paura. E un po’ non posso proprio. Ma le idee mi rimangono
in testa e altre idee e altri progetti vengono a portare loro compagnia e lo
spazio si fa sempre più stretto e il tempo è sempre meno. Idee che a confronto
a quello che faccio, alle parole che mi tocca dire, al modo nel quale devo
impostare il discorso, alla professionalità che non ho, ma che mi tocca
dimostrare, alla sicurezza che devo mostrare spesso minata dall’astio che provo
nel fare quello che faccio, sono sempre più belle e incantevoli e hanno voglia
di essere messe in pratica, di essere accudite, coccolate e mostrate con
orgoglio.
Tutti vorremmo ricominciare, tutti presuntuosamente crediamo
di avere diritto solo a ciò che è meglio. Tutti ci lamentiamo delle nostre vite
e diciamo che nessuno può comprendere se non è dentro la situazione. Tutti, appena ottenuto il giocattolo,
facciamo festa qualche giorno e poi iniziamo a notarne i difetti.
L’insoddisfazione è dentro il dna di ognuno . E tutti vogliamo progredire,
migliorare, arrivare da qualche parte e se ci riusciamo senza fatica, meglio
ancora.
Io no: voglio chiudere questa porta e aprire il portone
anche se per aprirlo bisogna prenderlo a testate.
In questo tempo che non passa mai, posso solo osservare e
riflettere e pensare a tutte queste vite che passeggiano, prendono depliant,
sorridono come fossero ad una gita. Posso solo chiedermi se loro hanno già aperto il loro portone o si
sono accontentati di rimanere dietro la porta chiusa. Immaginare le loro
passioni sotto la scorza dell’abito elegante o del tacco dodici. Chiedermi se i
loro sogni sono stati schiacciati dal quel tacco o dal nodo della cravatta
troppo stretto. Se per loro un posto di
comando dietro una scrivania è un obiettivo o un ottimo accomodamento. Non lo
so e non lo saprò mai. So che ho inseguito un sogno che non mi apparteneva
realmente. Ho solo messo davanti a tutto l’illusione che una buona sistemazione
potesse darmi tutto quello che volevo e pur avendo dato tutta me stessa in quello che facevo non ho raggiunto nessuna
delle due cose. So di avere sbagliato e
ho capito dove. Ho sbagliato a non avere mai detto di no. A lasciare credere
che io ci sarei stata sempre e comunque . Ho sbagliato a pensare che fare la
brava fosse un ottimo modo per raggiungere un posto in prima fila. Avrei dovuto
giocare bene le mie carte quando giocare la partita aveva un senso. E,
soprattutto, ho peccato di fiducia in me stessa. Ho svenduto la mia
intelligenza credendo che l’intelligenza, per avere un senso, debba essere
rappresentata da un titolo di studio. Ora so che il problema non era il capo,
non era il collega manicheo. Certo, erano pure loro. Il problema ero io. Era la
sfiducia in me stessa e la paura di sentirmi rispondere di NO, il timore di
sentire nuovamente che non potevo aspirare a questo o ad altro perché non avevo
questa famosa, agognata, importantissima laurea.
E poi c’è un altro fatto che bisogna considerare. Io non
sono nata per fare quello che faccio. I miei sogni saranno pure strampalati, ma
hanno tutti un fine comune. Usare la
creatività, la fantasia. Mischiare
materiali, tecniche. Sporcarsi le mani di farina, pasta di zucchero, miele,
cannella, succo di limone, latte, vanillina, cacao. Oppure modellare la creta,
la ceramica fredda, la pasta sintetica, la cartapesta. O buttare quattro parole
cucite in sequenza in questo mio spazio di mondo. Vomitandoci l’anima,
utilizzando sempre le stesse parole perché il malessere è sempre quello e non
cambia. Tutte queste cose, però, aprono il cuore, danno entusiasmo e stimolano
a pensare a muoversi, a fare. E in questo caso l’ozio non esiste. Non pesano le
stoviglie sporche da lavare. Non pesa lo zucchero sul pavimento. Non pesa il
colore che si attacca sulle mani, la colla spalmata anche nei capelli e le dita
ferite da coltelli o taglierine che siano. Non pesa il calore sulle gambe causato da un
vecchio portatile in perenne carica, nemmeno quando fuori ci sono quaranta
gradi.
Ecco a cosa serve rimanere qui a cercare di capire il senso
del tempo che si sta perdendo. Serve a pensare e dare una giustificazione del tempo che hai
già perso, per metterci definitivamente un punto e ricominciare. O, almeno,
tentare di farlo.
Mi hai fatto venire in mente questo pensiero di Pavese: «L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante». Ciao, Laura
RispondiElimina