Scopi e tradimenti

Obiettivi, scopi, finalità, fini, intenti, propositi, mete, traguardi. Tante parole, stesso significato. Io non posso farne a meno. Ho bisogno di avere un progetto da portare a termine. Uno scopo da raggiungere. Piccolo o grande che sia. Ancora muffin, ieri. Questo significa che sto elaborando, valutando, programmando, studiando cosa fare della mia vita a partire da questo momento in poi.
Di progetti ne ho un bel po’. Il primo e il più facile, pensavo, era quello di perdere i miei tre chili in più. Pensavo. Se non mi metto in testa di seguire una dieta mangio poco o nulla. Appena decido che è arrivato il momento di iniziare, mi vengono fuori le voglie più assurde e dannose. Mi assale una irrefrenabile voglia di pasticciare. Per esempio mangiare patatine e bere tè. Spalmare formaggio cremoso sui crostini e berci sopra una spremuta di arance rosse. Oppure spalmare philadelphia e nutella sul pane. Mangiare burro passato nello zucchero. Fare razzia di una scatola di cornetti algida che tengo nel freezer per i momenti di coccole alimentari (mi accontento di poco) e mangiarli uno dietro l’altro. Se permettessi a me stessa di mettere in pratica tutto quanto andrei incontro all’autodistruzione. Resisto e mi accontento di uno yogurt magro rallegrato da piccoli biscottini al cioccolato. A forma di stelline. Non farò l’amore con il sapore, ma starò in pace con la coscienza. In più devo fare i conti con questa mania che ho di impastare, creare miscugli e spesso pure disastri. Però mi piace. Mi rilassa. Spesso quello che creo mi gratifica. Tranne ieri sera che al posto di un plum cake alle mele e yogurt mi è venuta fuori una pappa collosa. Lo sapevo che dovevo accendere il forno e non fidarmi della macchina del pane. Quasi, quasi stasera ci riprovo.

La mia amica ce l’ha fatta. Vende la sua robetta come se niente fosse. Peccato la sua testa abbia dato forfait, ma se questo è il prezzo del successo chissenefrega? Si prende pure i meriti per le cose che ho fatto io. “Si, si, fatto tutto rigorosamente a mano da me”. Da te queso cavolo.
Oggi ho navigato per blog di cucina. Ce ne sono in quantità industriali. Quelli più carini sono in francese. Chissà perché in francese anche un banale ricetta di pollo e piselli diventa elegante. Oggi rivedrei con piacere Sabrina. No! Non la strega con il gatto mummificato che parla. Sabrina, Sabrina. Il personaggio interpretato da Haudrey Hepburn. La vie en rose, il cappello di Bogart, quel meraviglioso vestito da ballo, il soufflè che si sgonfia, le massime del papà autista. Sarò mica una romanticona pure io?
A ripensarci tutto è bello se pronunciato in francese.
Per esempio:
Vado dal macellaio. Pronunciatela a voce alta. Ma non viene la pelle d’oca a sentire il suono della parola macellaio? Si avverte tutto il dolore, il sangue, la paura di quelle povere bestiole e ci si immagina un omone con un lungo grembiule bianco sporco di sangue che brandisce una mannaia.
Ora riproponiamo in francese:
Je vais à la boucherie. Sembra di andare al parco giochi!
Sempre per restare in termini culinari:
Torta di mele = Tarte aux pommes
Insalata di cipolle = Salade des oignons
Costoletta di agnello = Entrecote d’agneau
Patate = Pommess de terre
Ho omesso per pigrizia gli accenti necessari. Ma tanto cosa volevo dimostrare, l’ho dimostrato.
Se, quindi, il francese migliora le cose che in altre lingue, soprattutto in italiano, a pronunciarle suonano poco carine, allora potrei applicare la lingua francese alla vita di tutti i giorni.
Per esempio al lavoro. Potrei alzare il telefono e dire: Bonjour qui est a l’appareil? Je peux etre utile?
Oppure potrei dare della “glorieuse tete de chou” a tutti quelli che non mi piacciono. Tipo alla mia amica e al vizio di prendersi meriti non suoi?

Commenti

  1. Concordo pienamente sul francese, per me è musica...leggerti mi fa sentire sempre, un pochino meno diversa.

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