Venerdì ho consultato i tarocchi
La caccia al tesoro è finita. Il
secondo calzino ha deciso di rivelarsi. Proprio Domenica sera, proprio quando
avevo deciso di fare una lunga doccia, impigiamarmi anche se erano solo le sei
e mezza del pomeriggio, sprofondare sul divano e godermi un paio d’ore di
lettura. Invece no. Salgo le scale correndo, presa dalla folle ebbrezza di
felicità che la sola idea di relax mi suscitava, mi cade l’occhio sul display
della lavatrice e … “FA”. Caspita, penso, il mio elettrodomestico è proprio
fissato con questa nota musicale. Ora ci penso io a farti cantare stupido
ammasso di latta ed elettronica. Peccato che la mia iniziativa non ha tenuto
conto di due o tre fattori determinanti. Il primo è che la lavatrice era piena
di acqua bollente. Il secondo è che andava svuotata per bene. Il terzo è che
per svuotarla ho dovuto disincastrarla da quella trappola che è la mia zona
lavanderia, nella quale anche un puffo soffrirebbe di claustrofobia, e portarla
fin sull’orlo del gradino sotto il quale ho adagiato una vaschetta e svuotato
90°C di massa d’acqua. Però è spuntato il gemello del calzino della volta
scorsa. Quello di cui parlavo proprio durante il pranzo. Quello di cui mi chiedevo
che fine avesse fatto e che speravo, ottimisticamente, fosse stato sputato via dallo
scarico della lavatrice. Siccome la teoria della profezia auto-verificantesi,
quando è pessimista, con me si trasforma in realtà, lascio a chi potrebbe
leggere l’onere di trarre la giusta conclusione.
E stamattina, tanto per rendere
più movimentato un lunedì lavorativo, mi sveglio con un bel mal ti testa. Del
tipo collo e spalle contratte, cerchio alla testa, occhio che pulsa, nausea e
vertigini. Di quello che la gente sana di mente resterebbe a casa a dormire. Ho
scritto la gente sana di mente.
Oggi, a mezzogiorno, è arrivato
il corriere a ritirare la busta grande, quella gialla. Quella che contiene la
documentazione necessaria per ottenere la surroga del mutuo. Ma questa surroga la voglio davvero? Penso
proprio di no. A parte il corriere, un
ragazzone alto, bello e gentile, di tutta questa storia non sono per niente
convinta. Non voglio mettere ancora pezze. Non voglio vivere in una casa
Arlecchino. Non voglio neppure sprecare tempo ed energie in questa casa che sa
solo prendere e mai dare. Ora che arriva l’inverno, proprio adesso che verranno
le prime piogge, sono più che mai certa di non voler restare.
Ho provato ad appendere il
cappello in questa casa. Ho pure cambiato modello: a tesa larga, berretti,
baschi, con visiera, di paglia, ma niente. Casa, nel mio caso, non è dove si appende
il cappello. Chissà, provo con una giacca?
C’è un’immagine di me, seduta sul
davanzale della finestra, intenta a sorseggiare tè e godere della vista dei
passanti che camminano veloci sotto la pioggia di Ottobre. Quale beatitudine.
Adesso non siedo più su quel davanzale. Se sorseggio del tè, lo faccio a
tavolino, con le gambe rannicchiate sulla sedia e una rivista di viaggi in
mano. Quando mi capita di osservare la gente passare, non lo faccio divertita.
A volte mi piacerebbe possedere un fucile caricato a salve e cercare di colpire
tutti quanti. Se ho subito una
trasformazione del genere vuol dire che è tempo di andare. O sono sotto
incantesimo, come il custode di Shining o si tratta della normale conseguenza
delle cose.
Oggi non ho tempo e voglia di
tirare fuori dalla sacca la mia stupida ironia, per attingere al mio cinismo.
Per sforzarmi di essere brillante. Oggi è un giorno oscuro. Uno dei tanti. Uno
fra tanti.
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