Vaneggiamenti di un non più Venerdì, ma quasi Sabato.

Coccolavo il Natale già da Agosto. Ero sotto l'ombrellone ad arraffare ogni singolo millimetro di ombra e pensavo al Natale. Al caminetto acceso, alle carole natalizie in sottofondo, alle lucine dell'albero e all'impasto dei biscotti alla cannella. Coccolavo l'idea del Natale. Il primo Natale che desideravo trascorrere in famiglia. Perché lo sanno tutti quanti ormai. Io dalla famiglia ho sempre desiderato fuggire. Per la prima volta, dopo non so quanti anni, l'idea di condividere il mio tempo fra mamma, papà, sorella e nipoti non mi dispiaceva così tanto. Sarà che la famiglia, anche quando non é come la vorresti, resta comunque un porto, un approdo. Sono ancora le undici e l'alba é ancora lontana. Strano anche questo. A me piace la notte, mi piacciono il suo silenzio, le ombre che accarezzano le strade, i versi degli animali e il ticchettio della pendola giù in cucina. In questi ultimi giorni ho solo voglia di vedere spuntare il giorno tanto per non vedere quei fantasmi che mi si aggirano attorno e non mi lasciano tregua. Se ho paura? Sì. Credo di essere abbastanza forte per andare avanti, ma altrettanto immatura per affrontare il momento. Non é tempo. Non ancora. Prima devo crescere io. E niente é più patetico di una donna matura che si crede ancora una stupida adolescente.
Ho fatto uno strano sogno stanotte e temevo che prima o poi lo avrei fatto. Adesso gli occhi mi si chiudono, ma ho paura di farlo. Sto scomoda su questa sedia, ma non é questo che mi blocca il sonno. Potrei prendere la sdraio, ma sarebbe allentare la tensione e io non voglio. Lo sento l'omino dispettoso, riesco pure a vederlo. E lo odio, ma soprattutto odio le cose per come stanno e odio questo pantano dal quale non riesco ad uscire. Ma quando comincia la risalita?
Io amo il Natale, ma é il Natale che non ama me. E io non voglio essere come quelle amanti respinte che diventano fastidiose, quasi maniacali. Saranno il sonno, la stanchezza, il logorio dell'attesa, la paura e nodi ancora non sciolti che mi fanno vaneggiare. Ma ho solo questa valvola di sfogo per ora e non intendo rinunciarci.
In questi giorni ho capito chi sono i veri amici e chi invece é meno di un estraneo. Non pretendo parole dolci, tentativi di rincuoro, offerte di aiuto. Pensavo però di meritare un pensiero, un augurio, un "in bocca al lupo". Ma questo non mi fa male. Fa male non poter  dire pesta e corna di colei che pur sapendo in che stato mi trovo si preoccupa soltanto di non sapere cosa scrivere alla domanda del suo preziosissimo social network. L'unico che ormai riuscirà a tollerare la sua pazzia. A lei non auguro un felice anno nuovo. Con lei non riesco ad essere solidale perché lei non riesce a distinguere quanto siano diversi una mosca e un elefante. Purtroppo se soffro divento cattiva verso chi dice di soffrire, ma non ne ha motivo. Perché poi me ne curo tanto non lo so. Se trovi un bisognino di un cane in mezzo alla strada presti solo attenzione a non calpestarlo, lo aggiri e continui a camminare. Non te ne ricordi nemmeno più. Perché questo lei é. Un bisognino. Niente altro.
Ma poi che me ne importa. 
Ho già da fare con l'infermiera nana e malefica. Che colpa ne ho io brutta tappa e palla di lardo se il campanello é nascosto e non si trova. Che faccio assistenza anche alla signora del letto accanto? Guardi che lei é pagata per questo. Guardi che non dormo da martedì della settimana scorsa un momento di defaillance é concesso, brutta vacca malefica e tappa e grassa e nana e piedi piatti, gambe corte e barilotto che non é altro. E che cavolo. Quando ci vuole, ci vuole. Per fortuna i maschi sono sempre più gentili.
























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