Fughe

 



Eccole. Con l’autunno ritornano le cene a casa di amici. Con le cene a casa di amici tornano i soliti discorsi: il garage che si allaga nei giorni di pioggia; i vicini che accendono la lavatrice la notte per risparmiare e che fanno la doccia la mattina troppo presto o la sera troppo tardi; il governo che attacca il pubblico impiego e basta; la ricerca di una nuova casa tanto ormai il mutuo lo accettano visto che mia moglie è di ruolo; gli acciacchi fisici; la cervicale, il gomito del tennista; lo stress psico-fisico di lavorare nel precariato; le punizioni non mantenute alla prole viziata; i cambi repentini di umore non giustificati; il terrore degli spifferi che arrivano dai condizionatori spenti; le porte chiuse per paura delle correnti d’aria; l’aranciata con la pizza perché birra e cola tolgono il sonno; le torte alla pera e cioccolato che sembrano un blob; Peppa pig e le Winx a 10000 decibel.
 
 
 
Perché, allora, continua il rito della cena a casa di amici il Sabato sera? Forse perché non sono così rigida come potrei sembrare. Dietro a questa litania si nascondono brave persone. Sono molto nascoste, lo so, ma ogni tanto affiorano. Ogni tanto.
Poi perché non è che abbia tutta questa scelta. A ben pensarci non ne ho nessuna. Così faccio mio il detto che a caval donato non si guarda in bocca. Certo che chi mi ha donato il  cavallo aveva proprio il braccino corto.
 
 
 
 
Mancano altre tre ore e scalcio come un cavallo imbizzarrito o deovrei dire una giumenta? Più si avvicina il tempo di andare via e meno riesco a stare ferma. Tutte le mie energie sono concentrate sulla scritta Uscita del portone. Perché poi? Tanto non ho niente da fare. Salvo riordinare le idee prima di dare fuoco alle polveri. E stare qui o altrove è la stessa cosa.
Con questo tempo, poi, con questo cielo grigio, questo vento fresco il film della mia fuga verrebbe fuori perfetto. Una specie di Thelma senza Louise. Una fuga solitaria in auto non decapottabile. Io e le mie medicine contro il reflusso, lo spazzolino da denti, la cremina idratante, i tovaglioli imbevuti e la spazzola toglipelucchi. Visto da questa prospettiva la fuga assume un significato meno romantico, ma sicuramente più organizzato.
A volte immagino che all’improvviso mi alzo dalla sedia, salgo in auto e vago senza una meta precisa. Immagino me e la mia fissazione per la pulizia, l’organizzazione, l’igiene  ed i miei pro e contro.  Sfido me stessa ad immaginarmi in situazioni a me ostiche. Come mi comporterei? Resisterei se il fine fosse una fuga perfetta? Mi immagino come se fossi la protagonista di un thriller di serie B. La me-protagonista fugge, si ferma nel primo paesino sperduto che trova, entra in una caffetteria e trova lavoro come cameriere. Fa amicizia con la collega più anziana che l’accoglie in casa. Poi si può fare una deviazione al finale romantico oppure no. Io scelgo la seconda. La protagonista non trova l’amore, ma i suoi sogni perduti e li realizza. Poi un THE END centrato e giustificato sullo schermo declama la fine del film. Ma io, antipatica e perfezionista come non mai voglio sapere cosa c’è dopo il THE END. Altrimenti non rischio. A questo punto che senso avrebbe la fuga?


 

Commenti

  1. bhè ultimamente sono sato coinvolto in cene "falso amicali" dove lo scopo era vedere la macchina nuova il lavoro, la carriera ecc. molto meglio le tue. Forse noise ma tra brava gente :-))

    Alles Paletti

    Ps: qui fa freddo...

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