Per Emilie
Stamattina, leggendo il giornale, ho fatto un viaggio nel tempo. A trenta anni fa quando ero solo una studentessa delle medie e non ero una ragazzina felice. Stamattina leggevo stralci del diario di Emilie, la ragazza di Lille che si è suicidata perché vittima di bullismo. E in quelle parole, mi sono rivista io. Strano non ci avessi più pensato.
Io ero la ragazzina strana
che non vestiva alla moda un po’ perché non poteva permetterselo e un po’
perché sono sempre stata restia nel seguire alla cieca le cose, solo perché lo
facevano tutti.
Ero carina, molto più
carina di molte mie compagne di classe “alla moda”, ma ero timida e insicura.
Perché non è facile sentirsi sicuri di sé quando si è vittima della cattiveria
degli altri. Degli scherzi che non sono scherzi, ma azioni crudeli e umilianti.
E chiamarli scherzi è riduttivo e pure dannoso. Perché si riconduce la cosa
ad una azione involontaria che era nata tanto per riderci su e si è conclusa
male. Nessun destinatario di questi “scherzi” ci ha mai riso su. Mai.
Riesco a sentirlo il
dolore di questa ragazza, presa in giro perché non vestiva come gli altri.
Riesco a sentire le risa di scherno dei compagni. I commenti brutali detti
ad alta voce che dovrebbero scivolarci addosso, perché siamo altro, non migliori,
o forse si, o sicuramente oltre queste bassezze insulse. Eppure ci feriscono, ci
lacerano l’anima.
E’ vero, ci chiediamo
perché ci danno addosso in questo modo. Se non andiamo bene per loro che ci lasciassero
in pace. La verità si svelerà dopo. Se si è fortunati. Si scoprirà che per
esistere, loro hanno bisogno di noi. Perché se non indossano la maschera da
fighetti, modaioli e super cool, non sono nessuno.
Il nostro dolore, quello
che ci infliggono, è la cera che regge il moccolo della loro nullità.
E sento mio il suo
silenzio. Il silenzio di questa ragazza addolorata e coraggiosa, ma anche di
tutti quelli come lei. Mi vedo anche io tornare a casa facendo finta di nulla.
E mi vedo stringere i denti ancora, invece di riposare le mascelle, perché
dovevo affrontare le frasi dure di mia madre se mi vedeva rispondere in modo scontroso.
Cieca e sorda verso il dolore di una ragazzina che voleva solo un aiuto o essere
lasciata in pace. L’ennesimo atto di bullismo in forma genitoriale. Perché non
tutti i genitori comprendono e se comprendono possono suggerirti atteggiamenti
che non sono tuoi o farti sentire idiota, perché sei riuscito a soccombere. E
ti suggeriscono ti rispondere all'aggressività, con l’aggressività. E non
vogliono capire che questo non paga. E che a questa età, è difficile vincere
una guerra contro un battaglione, mettendo in campo un solo soldato. Perché
tutto questo dolore è figlio di futili motivi: un paio di scarpe non firmate,
pochi vestiti a disposizione o uno zaino comprato al mercato.
E’ difficile crescere,
farsi delle amicizie, sentirsi in diritto di chiedere e ottenere quando hai un
vissuto del genere dietro le spalle. Anche se non lo sei, e in fondo lo sai,
non sei tu ad essere sbagliato.
E un giorno ci ritroveremo
cresciuti, con degli amici, ma continueremo a sentirci diversi da loro. Loro
non sanno. Ci trovano simpatici. Ma c’è sempre un momento, magari scambiandosi
i ricordi di quando eravamo ragazzi, nel quale tutto tornerà alla memoria. E
non diremo ancora nulla perché proveremo vergogna. E sappiamo che è sbagliato,
ma non parleremo, per paura di rovinare quella immagine di noi che loro hanno.
Ma si tratta di un’immagine.
Per giunta di quella che noi pensiamo loro abbiano di noi. E noi siamo altro.
Crescendo ancora, capiremo
che non ci importa più nulla nemmeno delle immagini che gli amici o i
conoscenti hanno di noi. Non abbiamo voglia di rettificare, chiarire, imporci.
Ci siamo riappropriati di
noi stessi. Peccato che tanti anni sono stati sprecati. Qualcuno più debole non
ce l’ha fatta e si è arreso. Qualcun altro ha preferito continuare ad indossare
una maschera che gli sta stretta o troppo larga, a seconda delle situazioni.
Strano come quelle persone
che ti hanno rovinato per anni la vita. Così presenti anche nei tuoi sogni, un
giorno scompaiano. E passano gli anni e pur camminando per le stesse strade,
andando negli stessi luoghi, loro non esistano più. E poi, quando meno te lo aspetti, vedi una
faccia che ti ricorda qualcuno.
E, come è capitato a me,
quella faccia ti riconosce, e nello sguardo ha ancora l'’insensato astio. Ma
tu sei lì, di fronte a quella faccia posata su un corpo che, accidenti se è cambiato
in peggio. Quella faccia vive una vita come tanti. Non c’è più niente di
affascinante o da invidiare. Il conformismo più patetico e triste che possa
vivere. E tu sei lì, davanti a quella faccia che ti fissa e potresti (oh sì,
potresti!) rifarti in un minuto di tutte le angherie vissute.
Eppure pensi che nessuna
frase, nessun accenno, nessuno sguardo duro da ricambiare allo sguardo di
quella faccia, potranno mai ridarti gli anni che non hai vissuto.
Il suicidio di Emilie non è
un atto di debolezza. Ma il risultato della cecità di tanti, scuola compresa. C’è
un termine che non mi piace, ma stavolta rende l’idea. Emilie è stata
suicidata. E questo sì che è un atto di debolezza e di vergogna. Dicono che l’istruzione
serva anche ad evitare questo. Io non sono d’accordo considerando che questi
ragazzi e anche i miei compagni, quando agivano, lo facevano in un contesto
dove l’istruzione è pure obbligatoria. Diciamo che le nozioni scolastiche
possono servire a farti diventare un bravo soldatino. Ma non un uomo. L’istruzione
dovrebbe essere ben altra cosa.
L’istruzione sono le
parole che Emilie scriveva nel suo diario. Parole semplici di una ragazza che
però picchiano duro e fanno male. L’istruzione è cercare di vedere i propri
figli per quello che sono, nel bene e nel male. L’istruzione è riuscire ad
uscire fuori dal conformismo, dalle regole bigotte e snob dell’apparire e
iniziare a sentire e comprendere che non vuol dire imparare, ma è ben altra
cosa.
Spero tu sia serena
Emilie, adesso. Non in cielo fra gli Angeli e le braccia di Dio, come avrà
detto il prete al tuo funerale. Spero tu sia serena e libera ovunque e non solo
dove ti sentirai al sicuro, ma soprattutto dove non lo sarai.
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